Nel contesto attuale, dominato dalla digitalizzazione, i dati personali assumono un ruolo centrale nelle dinamiche economiche e sociali. Dall’attività delle piattaforme online ai meccanismi di funzionamento dell’intelligenza artificiale, le informazioni personali sono diventate una risorsa strategica, spesso paragonata al “nuovo petrolio”. Nonostante questo, il diritto civile fatica ancora a inquadrare correttamente la natura giuridica dei dati: sono da considerare semplici interessi tutelati a livello individuale, oppure possono essere assimilati a beni soggetti a disponibilità economica?
L’ottica personalistica: il dato come espressione della persona
Una prima interpretazione, di matrice personalistica, ritiene che i dati personali non possano essere oggetto di proprietà in senso tradizionale, poiché costituiscono una proiezione diretta dell’identità e della dignità della persona. La giurisprudenza italiana ha più volte ribadito che l’utilizzo non autorizzato di tali informazioni può costituire una lesione di diritti fondamentali, con conseguenze risarcitorie anche di natura non patrimoniale.
Ad esempio, la Corte di Cassazione ha affermato che la diffusione indebita dei dati può ledere l’identità personale (sentenza n. 5525/2012) e che la tutela dei dati ha una funzione che va oltre la dimensione economica, incidendo direttamente sulla libertà individuale e sull’autodeterminazione informativa (sentenza n. 9981/2017). Questo approccio si fonda sui principi costituzionali e sulle norme europee, in particolare il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR), che valorizzano il consenso informato e il controllo diretto da parte dell’interessato.
L’interpretazione patrimoniale: il dato come risorsa economicamente rilevante
Accanto alla prospettiva incentrata sulla persona, si fa sempre più strada una visione di tipo patrimoniale. In questa ottica, i dati personali sono considerati elementi con un valore economico autonomo, in grado di generare utilità concrete nel mercato digitale. Essi sono oggetto di cessione, licenza e sfruttamento contrattuale, ed è quindi necessario un inquadramento giuridico che tenga conto della loro dimensione economica.
Anche in questo caso, la giurisprudenza ha offerto spunti significativi: la Corte di Cassazione ha riconosciuto la possibilità di valutare i dati in termini economici (sentenza n. 6919/2018), aprendo alla risarcibilità del danno patrimoniale in caso di utilizzo illecito. Una successiva pronuncia (n. 20592/2019) ha confermato che l’abuso dei dati può produrre un pregiudizio economico, rafforzando così la lettura dei dati come beni suscettibili di appropriazione e sfruttamento, oltre che come strumenti identitari.
Il quadro europeo: verso una disciplina organica sui dati
A livello europeo, si sta consolidando un quadro normativo che tende a riconoscere una forma di diritto sui dati, senza però compromettere la tutela della persona. Il Data Governance Act (Regolamento UE 2022/868) promuove modelli di condivisione sicura e controllata dei dati, mentre il più recente Data Act (Regolamento UE 2023/2854), che entrerà in vigore nel 2025, introduce il diritto di accesso e utilizzo dei dati generati da dispositivi intelligenti e servizi digitali.
Questi interventi sembrano delineare una nuova figura giuridica, in cui il dato personale assume la forma di un bene immateriale, capace di circolare e di essere economicamente valorizzato, pur restando vincolato alle garanzie previste dal GDPR. Il difficile equilibrio tra dignità della persona e logiche di mercato impone quindi un’evoluzione del diritto, che sia in grado di coniugare libertà individuale e innovazione economica.